Le canzoni che hanno ispirato Love was not in my plans

Ciao ragazzi :) come state?

Oggi vorrei parlarvi del processo creativo del mio romanzo, ovvero delle canzoni che mi hanno ispirato questa storia, alcune delle quali sono state inserite anche nello svolgimento della trama stessa.

Per scrivere questo romanzo, ho seguito un rituale quasi obbligato per circa  un anno: tornavo a casa la sera, mettevo le mie cuffie sulle orecchie e sceglievo una canzone di Sam Smith o Ed Sheeran, e da lì partiva tutto: un flusso di emozioni infinito che si trasformava in fiumi parole attraverso le dita delle mie mani che battevano incessantemente sulla tastiera.

La prima canzone che mi ha ispirato una scena estremamente importante tra i due protagonisti è "Thinking out loud" di Ed Sheeran. Una canzone d'amore che esprime e trasmette emozioni importanti. Per la prima volta Nastia si sentirà coinvolta da un uomo, in un modo così profondo, da lasciarsi trasportare in un ballo passionale e perdere la cognizione del tempo e dello spazio intorno a sé.

Ma la scena che amo di più in assoluto del romanzo, è stata ispirata da "To build a home" dei The Cinematic Orchestra. Ho voluto che la scena, secondo me più bella e romantica, avesse come sottofondo questa canzone, per la pace interiore che riesce a trasmettermi. Se vi va, potete provare a rileggere quella scena tenendo in sottofondo questa canzone (ve la lascio in fondo, alla fine del post)
Per la seconda volta all'interno della storia, Nastia si lascerà guidare dal fluire delle emozioni, che la condurranno verso quello che sarà il suo primo vero bacio, nello scenario delle acque cristalline che lambiscono le terre dell'Australia. 

Infine, la scene ambientate sulla spiaggia in cui Brian e Nastia corrono l'uno al fianco dell'altro, sono venute fuori grazie a "Photograph", sempre di Ed Sheeran. (Che posso farci? Adoro le sue canzoni perché riescono a portarmi in un altro universo).

Vi lascio con una domanda: Avete mai pensato, nel corso della vostra vita, che certi momenti, seppur stupendi, sarebbero stati più perfetti se accompagnati da una canzone? Tipo alcune scene dei film!
A me capita di pensarlo continuamente... ma non essendo la mia vita né un romanzo, né un film, ahimé, la musica devo metterla io! Ma in fondo... anche se devo scegliere la musica per quel momento che ritengo meriti un sottofondo, interrompendolo, riesco comunque a non interromperne la magia, ma a viverlo ancora più a fondo, grazie alle ulteriori emozioni che la musica mi trasmette!

Grazie per la compagnia :)

Vi lascio lo stralcio del mio romanzo: Dopo poco Nastia si mise a sedere: «Questa musica..», disse.
In lontananza si sentivano appena le note di una melodia: «Deve essere la musica di un resort dell’isola», dissi.
«Amo questa canzone»
Nastia si alzò in piedi; e come quando senti una canzone che ami e non puoi fare a meno di ballarla, si avvicinò alla battigia e si mise a fare quello che più amava fare: era come una danza, ma più elaborata. Le sue braccia e le sue gambe si muovevano a ritmo delle note del pianoforte; la sua movenza era così naturale, che nessuno sforzo segnava il suo volto; nemmeno quando sollevò la gamba portandola perfettamente parallela al suo corpo, per girare su stessa.
In quei momenti, in cui le sue gambe, con le sue spinte, si sollevavano da terra per formare una spaccata in aria, sembrava quasi che il tempo si fermasse e che lei potesse restare sospesa in quella posizione per un tempo indefinito, sconfiggendo qualsiasi legge della fisica. Ogni volta che sollevava una gamba, i suoi piedi sollevavano un misto di sabbia bianca e acqua che si disperdevano nell’aria e le punte dei suoi capelli, lunghi e sciolti, ricadevano dentro l’acqua ogni volta che si capovolgeva. Non pensavo che lei fosse bella, pensavo che lei fosse quanto di più perfetto avessi visto nella mia vita. Parlare solo di bellezza l’avrebbe semplicemente sminuita. Nastia sollevò una gamba all’indietro, verso la sua testa e girò più volte su se stessa; poi con un piede nell’acqua e uno sulla sabbia, inarcò la schiena fino a poggiare entrambe le mani a terra a formare un ponte, poi sollevò una gamba per volta, lentamente, ruotando fino a ripoggiare entrambi i piedi su quella magnifica sabbia bianca.
Si voltò lentamente verso l’acqua e alzò la gamba destra tendendola indietro, fermandola parallela alla sabbia; il suo busto era leggermente piegato in avanti, le sue braccia tese, l’una verso sinistra e l’altra in avanti, la aiutavano a mantenere l’equilibrio. Ma la difficoltà di mantenere quella posizione su un piano morbido come la sabbia e di vincere l’opposizione dell’acqua con le sue piccole onde, la faceva vacillare appena.
Le avevo detto di non pensare, e lei si era lasciata andare. E, invece, io ero ancora seduto sulla sabbia a pensare che la sua perfezione mi mozzava il fiato. Fu in quel momento che decisi di spegnere il cervello e mi lasciai guidare dall’emozione: mi  alzai dalla sabbia e mi diressi verso di lei; mi affiancai a lei dal lato sinistro, misi la mia mano destra sotto la sua caviglia per reggere la sua gamba e la mia mano sinistra sotto il palmo della sua mano. Nastia girò la testa verso di me e mi sorrise; io ricambiai il suo sorriso. Poi ruotò tutto il suo corpo facendo perno sulla gamba sulla quale era poggiata, mentre io continuavo a sostenerla, fermandosi nella direzione opposta rispetto al mare; alzò l’unica gamba con la quale si stava sostenendo e io la afferrai prima che potesse cadere a terra: un braccio sotto le gambe e uno dietro la schiena. Era leggera, così come appariva guardando le sue esili gambe e le sue braccia. Rannicchiata a me, con ginocchia piegate e la testa poggiata sul mio petto, entrai in acqua e camminai per qualche metro, poi girai su me stesso e la ripoggiai sulla sabbia. L’acqua le arrivava all’altezza delle gambe. Mi avvicinai a lei e le presi entrambi le mani, intrecciandole alle mie; Nastia fece un altro passo verso di me e, prima che potessi capire quello che stava accadendo, le sua bocca si posò sulla mia e cominciò a baciarmi. Io cominciai a ricambiare  quel bacio con tutta la passione che sentivo dentro di me. Avvertii le sue braccia posarsi attorno al mio collo, poi fece un saltello, e strinse le sue gambe attorno al mio bacino. Avevo atteso quel momento così avidamente, che mi sembrava quasi di averlo aspettato per un’eternità. E in quel momento, in quella posizione sentivo di poter  restare all’infinito, per recuperare quel tempo in cui avevo così tanto bramato di sfiorare le sue labbra.
In quel momento, in quella posizione, sentivo di non riuscire a smettere di baciarla.
Le mie braccia erano avvolte attorno alla sua schiena; spostai le mie mani lungo la sua vita e i suoi fianchi, fino a raggiungere il suo fondoschiena e, con le mie labbra incollate alle sue, mi abbassai


fino a sedermi sul fondo sabbioso dell’oceano.
«Non dovresti pensare più spesso», le dissi.
«Dovresti non permettermi di pensare più spesso», mi disse, la sua fronte premeva contro la mia.
I nostri corpi erano bagnati, le punte inumidite dei suoi capelli riaffioravano timidamente dall’acqua. Sfiorai lentamente la sua gota perfettamente rosa; su di essa cadde una goccia d’acqua.
Mentre tenevo lo sguardo fisso su quegli stupendi occhi blu, una tenera pioggia cominciò lentamente  a lambire le nostre pelli, già quasi totalmente immerse nell’acqua.
Non avrei potuto desiderare nulla di più, nulla di più perfetto, se non una spiaggia incantevolmente candida, un oceano dall’acqua limpida, una leggera pioggia, dei timidi occhi blu di fronte a me e la mano della ragazza che mi faceva battere terribilmente forte il cuore, intrecciata alla mia.
«Sei stupenda», le dissi; un moderato rossore affiorò sulle sue guance, già lievemente arrossate e un sorriso comparì sulle sue labbra; ma non disse nulla: per quel giorno si era già lasciata andare abbastanza. Nastia mi tirò fuori dall’acqua, prese il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloncini di jeans e disse: «Vorrei ricordare questo giorno per sempre».
Attivò   la   fotocamera   anteriore   del   cellulare, avvicinò il suo viso al mio e scattò la foto.
Trascorremmo tutta la giornata su quell’isola, per osservarne più da vicino ogni meraviglia. La sera sul tardi, prendemmo la barca per ritornare a casa. Io la accompagnai a casa con l’auto; davanti la porta    di    casa    sua    era    già    l’una    di notte:
«Buonanotte», le dissi dopo averle dato un bacio,
«Domani ti aspetta un allenamento faticoso».
«Aspetta», le sentii dire mentre stavo per andare via, «Non andare».
«È tardi..», dissi contro il mio volere, ma per il suo bene.
«Dammi ancora dieci minuti»
Guardai i suoi occhi: come potevo negarle quei dieci minuti? Come potevo dire di no ad un angelo?
«Ok», e la strinsi forte contro il mio petto. 


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